Articoli pubblicati

Clicca sui seguenti link per leggere gli articoli:

Le guerre marcomanniche, l’inizio delle invasioni barbariche

Sotto l’impero di Marco Aurelio si registrò un numero di invasioni oltre il Danubio mai avuto fino a quel momento. Gli invasori erano le tribù dei Marcomanni provenienti dalla regione germanica dell’omonimo nome. Dal 167 fino al 179 d.C., i Marcomanni diedero molto da fare all'imperatore Marco Aurelio e le legioni II e III Italica, stanziate in Rezia e Norico, furono di conseguenza impegnate per un bel po’ di tempo. Questo popolo riuscì a formare una forte coalizione politico-militare composta da altre popolazioni germaniche: Quadi, Naristi, Longobardi, Sarmati, ecc. per un totale di ben 11 tribù. Sempre nello stesso anno ,guidati dal loro Re, Ballomar, queste tribù germaniche ruppero le frontiere dell’impero e invasero e saccheggiarono la città romana di Aquileia, nei pressi del golfo di Venezia, nel nord-est dell’Italia.

Marco Aurelio, indignato di fronte a un simile affronto, si mise al comando del più grande esercito allora conosciuto e, nonostante il grande numero e la ferocia del nemico, dopo una decisiva vittoria in Marcomannia nel 179 d.C, la coalizione germanica fu respinta e definitivamente sconfitta.

Le famose “guerre marcomanniche” furono un periodo storico che rappresentò il preludio delle successive invasioni barbariche che avrebbero contraddistinto il III-IV-V secolo dell’impero.

Le vittorie ottenute da Marco Aurelio contro i Marcomanni, gli valsero il titolo di “Germanicus Maximus”. Tutt’oggi, le sue storiche vittorie sono rappresentate sulla colonna di Marco Aurelio, che è situata davanti Palazzo Chigi in Roma.

La battaglia dei Campi Catalaunici, l'ultima vittoria dell'Impero d'Occidente


Per alcuni anni gli imperatori romani (d’Occidente e d'Oriente) avevano versato grandi somme ad Attila per allontanare la minaccia del suo esercito dai confini dei rispettivi imperi.

Intorno al 450 d.C., però, le relazioni con gli imperatori peggiorarono e i tributi non furono più pagati. Attila, allora, nel 451 varcò il Reno alla testa di un vasto esercito formato varie tribù germaniche, infatti, oltre agli stessi Unni, vi erano anche Ostrogoti e Burgundi e prese a saccheggiare e a devastare le città (come Treviri e Orléans) e i territori della Gallia, costringendo l’imperatore d’Occidente, Valentiniano III, a inviare un esercito per bloccare l’avanzata.

A capo dell’esercito "romano" (ormai composto per la quasi totalità da barbari) c’era Flavio Ezio, soprannominato "l'ultimo dei romani", un generale originario dell’Illiria, che fu anche prigioniero dello stesso Attila anni prima. Per contrastare Attila, Ezio aveva intrapreso una grande opera di diplomazia, riuscendo a coinvolgere i Visigoti di Teodorico I in un’alleanza contro i nemici comuni. Portò dalla sua parte anche gli Alani di Sangibano, togliendo così un potenziale alleato ad Attila.

Quando gli Alani arrivarono in Gallia, pronti per combattere contro Attila, Ezio e il re dei Visigoti Todorico I mossero alla volta di Orléans, assediata da Attila, per riprenderne il controllo. Attila abbandonò la città e si mosse verso l’aperta campagna, dove il 20 giugno del 451 d.C. (secondo altri il 20 settembre) si svolse la battaglia dei Campi Catalaunici.

Attila venne sconfitto grazie alla strategia del generale romano che conquistò un'altura che si rivelò fondamentale per la vittoria romana. A questo punto il re unno, quasi in fin di vita, si ritirò con le sue truppe oltre il Reno. La sconfitta nella battaglia dei Campi Catalaunici, porterà Attila l’anno seguente, l’8 giugno 452 d.C., a invadere la penisola italiana dove nessun esercito riuscì a contrastare e nessuna città riuscì a sfuggire alle orde barbariche. Ezio fu fatto assassinare, nel 454 d.C., dalle guardie dell'imperatore Valentiniano III per il timore dello stesso imperatore che Ezio acquistasse troppo potere. L'anno successivo, infine, lo stesso Valentiniano III fu assassinato a Roma da due ex-guardie del corpo fedeli a Ezio. 

La battaglia dei Campi Catalaunici del 451 è considerata dagli storici l’ultima grande vittoria dell’esercito romano in Occidente e ha inoltre mostrato come i barbari fossero oramai indispensabili per l’esercito imperiale.

Divertimento e svago nell'epoca Romana

I Romani, come tutti noi oggi, amavano molto divertirsi e svagarsi dopo un'intensa giornata di lavoro. A differenza nostra, però, non avevano luoghi comuni come il cinema o le discoteche. Loro si intrattenevano in modi molto diversi dai nostri e alcuni esempi da mettere in risalto sono l'anfiteatro e l'ippodromo (o circo).

L'anfiteatro, come a Roma, è il monumento simbolo di qualsiasi città romana. All'epoca dei Romani, all'interno di questo edificio, i cittadini assistevano ai duelli e ai giochi. Era molto più capiente di molti stadi moderni: potevano ospitare fino a 50 mila spettatori, nel caso del Colosseo (o Anfiteatro Flavio).
Era usato soprattutto per gli spettacoli con i gladiatori che rievocavano le gesta e le vittorie più famose dell'Impero sui popoli conquistati. I duellanti combattevano per far divertire la folla. Il lottatore che veniva sconfitto, oppure si arrendeva, doveva accettare il giudizio del pubblico che poteva decretarne la vita o la morte. Anche le lotte tra animali erano molto popolari.

Ma la vera passione sportiva dei romani erano le corse dei carri al Circo Massimo. Questo edificio era immenso con gradinate per ben 250 mila spettatori. Ospitava anche le naumachie (anche se per la maggior parte delle volte venivano ospitate nel Colosseo), quelle che noi chiamiamo battaglie navali, e per riempire d'acqua l'intera pista veniva addirittura deviato il corso del fiume Tevere.

Per ultimo, ma non meno importate, c'era il teatro. Questo genere di struttura è stata "ereditata" dai Greci e al suo interno si rappresentavano le famose tragedie, o commedie, in cui si rappresentava al pubblico quello che era scritto nei più famosi poemi epici, come l'Iliade e l'Odissea del famoso poeta greco Omero o l'Eneide, le Georgiche e le Bucoliche del poeta Publio Virgilio Marone, noto semplicemente come Virgilio.

Il teatro è l'unico edificio, tra quelli citati, ad essersi evoluto nei secoli (sia come struttura, sia come modo di rappresentazione) ma racchiude tutt'oggi ancora molte caratteristiche dei teatri dell'epoca Greco-Romana.

Boadicea, la regina che sfidò Roma

Boadicea (o Boudicca) era di origini nobili e a circa sette anni di età sarebbe andata a vivere con una seconda famiglia, presso cui rimase fino ai 14 anni. Fu proprio in questo periodo che Boadicea ebbe l’occasione di approfondire i suoi studi sulla storia, le tradizioni e la cultura delle tribù celtiche imparandone anche le tattiche militari. Intorno all’anno 47 d.C., Boadicea fece ritorno alla sua casa di origine dove la sua famiglia la promise in sposa al sovrano degli Iceni, Presutago.

Presutago, presumibilmente salito al trono grazie all’appoggio romano, dopo la rivolta sedata degli stessi Iceni del 47 d.C., avrebbe dovuto nominare come suo erede l’imperatore romano, che in quegli anni era Nerone,  ma dato che egli intendeva mantenere viva la sua linea dinastica, nominò la moglie e le figlie co-eredi insieme all’imperatore. Alla sua morte nel 60 d.C., i romani ignorando le sue volontà  si impadronirono dell’intero territorio e delle sue ricchezze. Alle proteste della regina Boadicea, i romani risposero fustigando lei e trattando come schiavi tutta la più alta nobiltà Icena. Nel 60 d.C. la rivolta guidata dalla regina divampò.

In quell’anno Gaio Svetonio Paolino, proconsole romano, stava conducendo una campagna contro i druidi nel Galles settentrionale, così gli Iceni e la vicina tribù dei Trinovanti, riuniti sotto la guida dell’audace regina, furiosa per il trattamento ricevuto,  si sollevarono stabilendo che il loro primo obiettivo sarebbe stato l’insediamento di Camulodunum (odierna Colchester), dove il risentimento contro i romani era già alto grazie ai legionari veterani che in passato avevano trattato con durezza e arroganza la popolazione locale. Per questi motivi l’insediamento oppose una debolissima resistenza e i pochi strenui difensori si ritrovarono in poco tempo assediati all’interno del tempio del Divo Claudio dentro il quale resistettero un paio di giorni. Senza perdere tempo il legato Quinto Petilio Ceriale alla guida della legione “IX Hispana”, tentò di riconquistare la città ma subì una schiacciante sconfitta. L’esercito ribelle oltre a Camulodunum, rase al suolo anche Londinium (Londra), e Verulamium (St Albans), gli effettivi romani guidati dal proconsole Paolino erano del tutto insufficienti per proteggere dai ribelli gli insediamenti più importanti, una stima approssimativa stabilisce che i caduti di quella rivolta siano stati più di 70.000!.

Cassio Dione ci racconta come appariva la regina Boadicea agli occhi di un romano:

“Era una donna molto alta e dall’aspetto terrificante. Aveva gli occhi feroci e la voce aspra. Le chiome fulve le ricadevano in gran massa sui fianchi. Quanto all’abbigliamento, indossava invariabilmente una collana d’oro e una tunica variopinta. Il tutto era ricoperto da uno spesso mantello fermato da una spilla. Mentre parlava, teneva stretta una lancia che contribuiva a suscitare terrore in chiunque la guardasse.”

Nonostante la grande inferiorità numerica, Gaio Svetonio Paolino riorganizzò le truppe rimaste  e lungo la strada di Watling, nei pressi dell’attuale fiume Anker, i romani iniziarono la loro riscossa. La fanteria romana contava di non più di 6.000 legionari, circa 4.000 ausiliari, 4.000 o 5.000 soldati germani alleati e non più di un migliaio di cavalieri. La fanteria ribelle si aggirava invece sui 40 o 50.000 unità più un numero imprecisato dei temibili carri falcati (muniti di falce) da combattimento. Svetonio Paolino collocò i suoi uomini in maniera molto accorta, sfruttando la conformità del territorio, un canale e alcune colline boscose fornivano infatti una protezione naturale ai fianchi e al retro della fanteria. I britanni dal canto loro, pensando ad una facile vittoria dovuta al loro grande numero, non prestarono particolare attenzione al proprio schieramento collocando i numerosi carri falcati a semicerchio davanti alle proprie truppe. I Britanni si lanciarono così all’attacco ma vennero subito fermati da una fitta pioggia di giavellotti  e fatti retrocedere dalla carica dei legionari. Lo schieramento molto serrato dei Romani impedì ai Britanni di usare adeguatamente le loro lunghe spade mentre la cavalleria romana armata di lunghe lance travolse i fianchi dello schieramento di Boadicea. In questa situazione furono favoriti anche i legionari che usando il loro corto gladio uccisero centinaia di guerrieri britanni. A questo punto i ribelli iniziarono a fuggire verso le loro famiglie sistemate su di un altura alle spalle del loro schieramento, ma i loro carri ne rallentarono la ritirata facilitando il compito dei Romani già partiti all’inseguimento. Fu a questo punto che Boadicea, per evitare di essere presa come prigioniera dai Romani, si suicidò con del veleno. I caduti fra i Britanni furono diverse decine di migliaia, mentre fra i romani le perdite rimasero circoscritte a poche centinaia.

Traiano, l'Optimus Princeps

Figlio di un senatore che aveva intrepidamente servito nella X legione durante la prima guerra giudaica, Traiano nasce ad Italica nel 53 d.C in una famiglia di coloni italici in Spagna, gli Ulpii, originari di Todi in Umbria.
Decide di arruolarsi ed intraprende una brillante carriera militare, servendo su vari fronti ed ottenendo man mano ruoli di rilievo.
Nell'85 d.C. diviene pretore in Spagna, sei anni dopo console e quattro anni dopo governatore della Germania Superiore.
Stimato dai suoi sottoposti, Traiano viene adottato dal debole e anziano Nerva per un calcolo politico.
Tre mesi dopo Nerva muore e Traiano viene proclamato Imperatore.
In politica estera è ricordato per la conquista della Dacia (l'odierna Romania), avvenuta in due campagne contro l'irriducibile Re Decebalo, che alla fine preferirà il suicidio; la sottomissione dei Nabatei con la relativa conquista dell'Arabia Petrea e, infine, le campagne partiche che portarono alla presa di Ctesifonte e alla creazione delle nuove province di Armenia, Assiria e Mesopotamia.
Con Traiano l'Impero raggiunse la sua massima estensione territoriale.
Egli si distinse anche in politica interna, colpendo duramente la corruzione, ristabilendo la rispettabilità del Senato, provvedendo alla cura e all'alimentazione dei fanciulli in difficoltà con la Institutio Alimentaria, eseguendo imponenti lavori pubblici come la costruzione di ponti e strade, migliorando alcuni fra i più importanti porti della penisola italica, costruendo il nuovo acquedotto e le nuove terme a Roma. 

Si spegne l'8 agosto del 117 d.C., dopo una lunga malattia a Selinus in Cilicia (nel Sud dell'odierna Turchia).
Per i suoi indubbi meriti è ricordato come l'Optimus Princeps, per molti storici antichi e contemporanei è considerato il migliore Imperatore Romano.

Adrianopoli, l’inizio della fine dell’Impero d’Occidente

Il 9 agosto del 378 d.C. in Tracia (l'odierna Bulgaria) ebbe luogo la Battaglia di Adrianopoli: i Visigoti (o Goti dell’Occidente) sconfissero l’esercito romano mostrando per la prima volta la debolezza dell’Impero.

Nel 374-375 d.C. gli Unni, una popolazione nomade di origine mongola, si mosse verso Occidente e oltrepassò il Volga sospingendo la popolazione germanica dei Visigoti verso le frontiere romane.

L’imperatore d’Oriente Valente (364-378 d.C) constatò che i suoi eserciti non erano pronti a fronteggiare questa nuova minaccia e tentò una soluzione pacifica. Dal momento che i Visigoti desideravano insediarsi nell’Impero romano ed erano disponibili a combattere negli eserciti romani, egli li accolse in Tracia, arruolandoli come soldati. Ma la convivenza tra la popolazione romana e i barbari si dimostrò impossibile. I Romani ostentavano disprezzo per i barbari e ne respingevano l’integrazione; i funzionari imperiali li sottoponevano a vessazioni di ogni tipo.

I Visigoti, unitisi a bande di Alani e di Ostrogoti (o Goti orientali), di ribellarono e presero quindi a devastare la penisola balcanica. L’imperatore d’Oriente Valente, di ritorno dal confine orientale dove stava respingendo l'esercito persiano, decise di affrontarli in modo affrettato e con truppe insufficienti, senza attendere l’arrivo delle legioni dell’augusto d’Occidente, Graziano (375-383 d.C.). E così il 9 agosto del 378 d.C. , nella battaglia di Adrianopoli in Tracia, Roma subì una delle più gravi sconfitte della sua storia, una sconfitta tanto grave da essere paragonata a quella di Canne (216 a.C.). L’esercito di Roma fu annientato e lo stesso Valente perse la vita.

L’esito della battaglia di Adrianopoli mostrò chiaramente che i rapporti di forza tra Roma e i barbari si erano rovesciati a vantaggio di questi ultimi.

Dopo la sconfitta di Adrianopoli, con le province orientali minacciate dai Visigoti, l’augusto d’Occidente Graziano nominò augusto d’Oriente il generale di origine spagnola Teodosio (379 d.C.). Costui comprese l’impossibilità di fronteggiare i Visigoti con la sola forza militare e inaugurò una politica di compromesso con i popoli germanici.

Così nel 382 Teodosio riconobbe per la prima volta a un popolo germanico lo status di alleati (foederati) dell’Impero. I Goti si impegnavano a prestare servizio nell’esercito romano e in cambio venne loro esteso il regime dell’ospitalità (hospitalitas). L’ospitaità prevedeva che funzionari e militari dell’Impero ricevessero viveri e alloggi nelle zone dove si acquartieravano. I magazzini pubblici mettevano a disposizione viveri, mentre un terzo delle abitazioni veniva requisito per le necessità dell’esercito per la durata delle operazioni militari.

Si trattava quindi di assegnazioni temporanee, ma col tempo divenne sempre più difficile fare a meno dell’apporto dei germani nell’esercito e impedire che i loro stanziamenti divenissero del tutto stabili. Per il momento, comunque, Teodosio riuscì a neutralizzare la minaccia visigota e a ridare tranquillità alle zone orientali dell’Impero. Questa situazione di pace non durò molto perché ben presto altre masse si spingeranno oltre i confini dell’Impero e risulterà sempre più difficoltoso da parte dei Romani contenerle, portando così l’Impero d’Occidente a una lunga agonia che si concluderà con la sua caduta nel 476 d.C.

9 d.C. La sconfitta di Teutoburgo

La disfatta di Teutoburgo fu una delle tre più clamorose sconfitte dell'esercito romano, preceduta solo da quella di Canne del 216 a.C., al tempo di Annibale, e seguita solo da quella di Adrianopoli del 378 d.C.

Le legioni di Publio Quintilio Varo si trovavano, il 9 d.C., nel cosiddetto Saltus Teutoburgensis, una foresta montuosa della Bassa Sassonia, oggi chiamata "della Lippe".

I principali nemici dei romani, i cherusci, che alcuni anni prima avevano subìto gravi sconfitte da parte dell'imperatore Tiberio, si erano stabiliti in quella zona, occupando entrambe le sponde del fiume Weser.

Durante i mesi estivi era del tutto normale disporre lo spostamento di truppe romane nel cuore della Germania, ma questa volta Varo aveva un'altra ragione: le sue tre legioni (XVII, XVIII e XIX) dovevano anche dimostrare la forza di Roma dinanzi a popolazioni non ancora del tutto sottomesse, come appunto i cherusci.

Il suo predecessore, Saturnino, era stato più accorto, perché considerava poco adatta una tattica del genere con popolazioni numericamente forti, agguerrite e gelose della propria autonomia. Varo però preferiva sempre agire con spietata durezza: già in Siria, quand'era stato governatore, aveva fatto crocifiggere duemila ribelli.

Varo contava sull'appoggio dei nobili o di quelli che potevano vantare stirpi gloriose, promettendo loro cariche di prestigio e ricchezze: in particolare gli erano vicini Segeste e Arminio (quest'ultimo aveva già comandato truppe ausiliarie dell'esercito romano).

Verso la metà di settembre le legioni si mossero verso la foresta. Arminio garantiva per la sicurezza, ma Segeste cominciò a sospettarlo di tradimento. Le spie romane mandate in perlustrazioni riferirono di aver avvistato numerosi germani in zona, ma Varo continuò ad aver fiducia in Arminio.

Il 21 settembre iniziò lo scontro, che si protrasse per tre giorni consecutivi. Varo comandava una forza di oltre 20.000 uomini, militari di professione ben addestrati ed equipaggiati, decisamente superiori, sulla carta, ai 15.000 cherusci, cui si aggiunsero alcune migliaia di marsi e catti.

I germani avevano alcuni vantaggi di non poco conto: conoscevano perfettamente la foresta, avevano lance e spade molto lunghe, disponevano di alcune unità di cavalleria.

L'autore di questa imboscata fu lo stesso Arminio, che fece attaccare le legioni da tutte le parti, anche in maniera disordinata, per poterle completamente disorientare: i germani utilizzarono i nascondigli delle pendici boscose, bloccarono i passaggi convogliando la battaglia verso le paludi e le barriere montuose, sfruttarono a fondo la fitta vegetazione.

Non ci fu nulla da fare per i romani, non si salvò nessuno, neppure Varo. La sconfitta fu talmente grande che:«Quando giunse la notizia [...] dicono che Augusto si mostrasse così avvilito da lasciarsi crescere la barba ed i capelli, sbattendo, di tanto in tanto, la testa contro le porte e gridando: "Varo rendimi le mie legioni!». Dicono anche che considerò l'anniversario di quella disfatta come un giorno di lutto e tristezza.»

(Svetonio, Vite dei dodici Cesari, II, 23)

Da quel momento Roma decise di abbandonare una parte della Germania, utilizzando il Reno come confine naturale dell'impero.

Nel 14-16 d.C. Germanico volle vendicare gli sconfitti attaccando i cherusci sul Weser, ma, nonostante i successi iniziali, fu richiamato in patria. Ormai l'impero non aveva più le forze per organizzare grandi opere di conquista e di espansione.

La battaglia di Canne

La battaglia di Canne del 2 agosto del 216 a.C. è stata una delle principali battaglie della seconda guerra punica ed ebbe luogo in prossimità della città di Canne, in Puglia. L'esercito di Cartaginese, comandato da Annibale, accerchiò e annientò quasi completamente l'esercito romano, numericamente superiore, guidato dai consoli Lucio Emilio Paoloe Gaio Terenzio Varrone. È stata, in termini di caduti in combattimento, una delle più pesanti sconfitte subite da Roma, seconda solo alla battaglia di Arausio, ed è considerata come una delle più grandi manovre tattiche della storia militare.

Riorganizzatisi dopo le precedenti sconfitte nelle battaglie della Trebbia (218 a.C.) e del Lago Trasimeno (217 a.C.), i Romani decisero di affrontare Annibale a Canne, con circa 86 000 tra soldati romani e truppe alleate. I Romani ammassarono la loro fanteria in una formazione più serrata del solito, mentre Annibale utilizzò la tattica della manovra a tenaglia. Questa manovra risultò così efficace che l'esercito romano fu annientato. A seguito della battaglia di Canne, la città di Capua, alleata di Roma, e altre città stato si schierarono con Cartagine.

 I romani avevano messo in atto misure straordinarie per reclutare più uomini possibili, ma non fu sufficiente: « Il Senato decise di mettere in campo otto legioni, il che non era mai stato fatto prima a Roma, ogni legione composta da 5.000 uomini, oltre agli alleati. […] I Romani combattono la maggior parte delle loro guerre con due legioni al comando di un console, con i loro contingenti di alleati, e raramente utilizzano tutte e quattro le legioni in una sola volta e per un solo compito. Ma in questa occasione, tanto grande era l’allarme e il terrore di ciò che sarebbe potuto accadere, che decisero di mettere in campo non solo quattro, ma otto legioni. »

Polibio, Storie, III, 107.9-11

« Affermano alcuni che per reintegrare le perdite si arruolarono diecimila nuovi soldati; altri parlano di quattro legioni nuove, per affrontare la guerra con otto legioni; e si dice pure che le legioni furono accresciute di forze, tanto di fanti quanto di cavalieri, aggiungendo a ciascuna circa mille fanti e cento cavalieri, così che risultassero di cinquemila fanti e di trecento cavalieri, e che gli alleati diedero un numero doppio di cavalieri ed egual numero di fanti. »

Tito Livio, Ab Urbe condita libri XXII, 36

Produzione dell'olio d'oliva

La produzione di olio d'oliva era ampiamente utilizzata nelle piccole fattorie o in casa, per il consumo familiare, sia nella civiltà greca che in quella romana tra il V e il IV sec.a.C., prima della diffusione della ruota olearia (antenato del frantoio). Venivano spinti pesanti cilindri di pietra, con l'aiuto di picchetti, facendoli girare in un piccola vasca scavata nella roccia o in una semplice pietra rettangolare piatta con un piano concavo, che conteneva le olive. Il succo usciva da un foro praticato sul fondo e veniva raccolto in una vasca di decantazione (come mostrato).

La cavalleria ausiliaria romana

La cavalleria ausiliaria romana (composta da provinciali e alleati) era formata da unità altamente specializzte arruolate localmente lungo le frontiere perchè, conoscendo bene i luoghi, potevano difenderne più di chiunque altro i confini.

Con il passare del tempo, però, furono inviate ovunque lungo i confini imperiali, conservando le loro caratteristiche etniche, per cui si equipaggiavano e combattevano secondo le loro tradizioni.

La Guerra gallica descritta da Plutarco

"La prima delle guerre galliche fu combattuta contro gli Elvezi e i Tigurini, i quali, dopo aver bruciato le loro dodici città e quattrocento villaggi, muovevano attraverso la Gallia Narbonense, così come prima avevano fatto i Cimbri e i Teutoni, ch’erano pari per numero e non inferiori per ardimento alle milizie romane: centonovantamila soldati su un totale di trecentomila abitanti.

I Tigurini furono sconfitti presso il fiume Arar da Labieno, inviato colà espressamente da Cesare, il quale, invece, venne attaccato di sorpresa dagli Elvezi mentre marciava con l’esercito verso una città amica.

Fece appena in tempo ad appostarsi in un luogo fortificato, dove schierò le truppe in ordine di combattimento, e quando gli portarono il cavallo: «Non ora», disse: «mi servirà dopo la vittoria, quando mi lancerò all’inseguimento. Adesso andiamo all’assalto!». E mosse a piedi contro il nemico.

La battaglia fu aspra e durò parecchio tempo, ma la fase più difficile si svolse nel campo nemico e presso i carri, poiché lì si batterono, duramente e difendendosi fino alla morte, non solo i soldati ma anche i loro figlioletti e le loro mogli. Morirono tutti e la lotta si concluse, a stento, a mezzanotte.

Ma a quella splendida vittoria Cesare volle dare un seguito ancora più sorprendente: nel timore che i Germani potessero sconfinare e occupare quel territorio nel caso in cui fosse rimasto disabitato, recuperò tutti i barbari scampati con la fuga alla battaglia, ch’erano più di centomila, e li costrinse a reinsediarsi nelle terre e nelle città che avevano abbandonato o distrutto."

(Plutarco, Cesare, 18)