Viriato, un uomo che divenne leggenda

Da tutti  ammirato, perfino dagli stessi nemici, Viriato proveniva da una famiglia di umili origini. Fin da  giovanissimo la sua occupazione fu quella del brigante e del  mercenario, come era uso presso le tribù della Lusitania (l'odierno Portogallo). Possedeva un intuito militare e strategico fuori dal comune ed aveva un modo di combattere nuovo e particolare:  non  affrontava  il nemico a viso aperto e con le forze al completo, ma lo coglieva di sorpresa con un manipolo di uomini. In questo era anche favorito dall’impraticabilità del terreno su cui si muoveva e che conosceva perfettamente.

Nel 147 a.C. riuscì ad unire intorno a sé un numeroso esercito composto da varie tribù da opporre ai conquistatori romani, guadagnandosi  presto  il rispetto della sua gente, ma anche dei nemici,  soprattutto quando, con uno stratagemma  riuscì a mettere in salvo i suoi uomini. Cominciò proprio con quell’episodio la sua leggenda di guerriero intrepido, imprendibile ed imbattibile. Diventò, in pratica, l’incubo dei romani.

Partì da Carpetania, che mise a ferro e fuoco. Qui diede prova della misura del suo odio verso Roma, mettendo in scena una macabra cerimonia: sacrificò un cavaliere romano fatto prigioniero ed invitò i suoi uomini a giurare odio eterno a Roma facendo mettere loro la mano destra nelle viscere della vittima.

La più grande vittoria, Viriato l’ebbe  nello stesso anno, contro il comandante romano Caio Vetilio. Romani e Lusitani erano già pronti alla battaglia, schierati gli uni di fronte a gli altri. Ma Viriato, con un gruppo di mille cavalieri attaccò di sorpresa le truppe di Vetilio, mentre, ad un segnale convenuto, i suoi uomini penetravano tra le fila dei soldati romani, li superavano e si davano ad una fuga sparpagliata. Colto di sorpresa dall’insolito modo di guerreggiare e non potendo disperdere la cavalleria all’inseguimento dei fuggiaschi, il generale romano attaccò i cavalieri di Viriato, ignaro di cacciarsi in una trappola. Freschi e riposati, i cavalieri lusitani riuscirono ad  allontanarsi e Caio Vetilio si pose al loro inseguimento. Per ben due giorni il barbaro condottiero lo tenne impegnato con finte fughe e improvvisi attacchi, fino ad arrivare nei pressi di Trebula, dove si apriva una gola stretta e profonda. Simulando una nuova fuga, Viriato e i suoi cavalieri penetrarono nella gola, fino all’estremità. Vetilio li inseguì con tutto il suo esercito, ma rimase intrappolato nella gola. Qui i Lusitani si erano appostati sulle alture ed avevano ostruito ogni via di fuga e di salvezza. Fu una strage. Seimila soldati romani vi trovarono la morte, tra cui lo stesso Vetilio.

Negli anni successivi Viriato continuò  la sua espansione verso l’interno, diventando l’incubo di Roma: la sua tattica di combattimento stava creando una leggenda. Era nata la guerriglia e la lista dei generali romani sconfitti ed umiliati da questa sua nuova tattica di combattimento andò allungandosi.

Dopo Vetilio toccò a  Caio Plauzio e poi a Claudio Unimano il quale, dopo diverse scaramucce si  scontrò con lui. Fu una sconfitta totale, nella quale perse tutte le insegne e perfino i fasci da generale. Ci proverà Fabio Massimo Emiliano, questa volta, a fermare il barbaro condottiero, forte di un esercito  di 17 mila uomini, tra fanti e cavalieri ma seguirono alterne vicende.

Toccò anche a Quinto Pompeo, ma fu ricacciato anch’egli. Intorno a Viriato s’era creata  la leggenda e l’impegno romano si fece sempre più pressante.

Al generale Quinto Fabio Serviliano furono consegnate due Legioni e perfino alcuni elefanti donati dal re della Numidia e all’inizio i romani ottennero qualche successo, ma poi Serviliano assediò la città di  Erisone. Correva l’anno 140 a.C., Viriato ruppe l’assedio e penetrò nella città costringendo i romani a ritirarsi in direzione di una valle percorsa da dirupi e fossati, in fondo alla quale il geniale guerrigliero aveva posto una fortificazione. L'esercito Romano subì una sconfitta totale.

Per evitare un massacro, Serviliano chiese la resa e Viriato la concesse, mostrando di possedere oltre a qualità strategiche militari, anche doti politiche e diplomatiche e non lasciandosi vincere da quel sentimento di vendetta che per anni lo aveva sempre sostenuto. Sapeva bene che se avesse massacrato quegli uomini in suo potere, Roma non avrebbe mai perdonato e Roma disponeva di  risorse e mezzi illimitati. Così il guerrigliero, geniale e coraggioso, si mutò in diplomatico.

Le sue condizioni di pace furono miti e ragionevoli, tanto da riconoscergli da parte dei Romani, il titolo di “amico del popolo romano” e perfino il dominio sui territori conquistati. Viriato però non aveva fato i conti con l’arroganza del Senato di Roma il quale nemmeno un anno dopo, impugnò il trattato e gli inviò contro un potente esercito al comando del console Servilio Cepione.

Il grande guerrigliero, però, non aveva intenzione di riprendere le ostilità, ma Cepione dette inizio ad una serie di provocazioni. Ogni tentativo di pace fallì, soprattutto l’ultimo, che si mutò in un atto di tradimento da parte di tre dei suoi stessi uomini: per l’ennesima volta, Viriato  aveva inviato ambasciatori al campo romano per negoziare un nuovo accordo. Si trattava di tre uomini di sua fiducia, che il console romano ricevette sotto la sua tenda e che dopo un lungo discorso riuscì a corrompere. Quando i tre tornarono al campo per riferire, di notte, sotto la tenda di Viriato, pugnalarono il loro capo alla gola e fuggirono. Una volta tornati al campo romano, dove tornarono per la ricompensa, furono scacciati in malo modo.

Il popolo pianse il suo grande Condottiero e gli tributò eccezionali onori funebri. Viriato aveva perso la vita e, da quel momento in poi, la penisola iberica avrebbe perso la sua indipendenza.