Mitra, il dio dei legionari

Venuto dall’Oriente, il culto di Mitra, dio battagliero ed eroico, capace di sconfiggere il Toro cosmico, fu molto apprezzato dai soldati romani, diffondendosi con grande rapidità in tutto l’Impero.

Tutto ebbe origine con la morte del Toro cosmico. Il giovane Mitra, adorno della corona raggiata per aver soggiogato il Sole, riesce a catturare l’animale, a portarlo nella grotta e a ucciderlo con la daga. Dalle viscere della bestia germogliano piante benefiche: dal midollo il grano, dal sangue la vite. Ad accompagnarlo nell’impresa ci sono un cane e un corvo, messaggero del dio Sole (il benevolo Ahura-Mazda), oltre a un serpente e a uno scorpione, inviati da Ahriman, il dio del Male. Il serpente beve il sangue del Toro, mentre lo scorpione ne attacca i testicoli con l’intento di fermare la diffusione della vita. Ma non è sufficiente: il  Toro ascende verso la Luna, mentre Mitra e il dio Sole festeggiano con un banchetto rituale, l’agape.

Questa complessa e particolareggiata cosmogonia, tipica del culto mitraico, secondo studi moderni avrebbe a che fare con il fenomeno astronomico della precessione degli equinozi, accertato da Ipparco di Nicea attorno al 130 a.C.

Si tratta di una conseguenza della rotazione dell’asse terrestre, che ogni 2.148 anni circa comporta uno slittamento di 30 gradi della fascia zodiacale. Più o meno 4.000 anni fa, la  costellazione del Toro prese il posto di quella dell’Ariete nell’equinozio di primavera. Mitra, così, rappresenterebbe la forza che rompe l’ordine costituito, colui che sfida il Sole e lo sconfigge, il dio che uccide il Toro cosmico dando origine alla vita.

Il culto mitraico ha origini molto antiche, ma nel corso dei secoli, e soprattutto nel passaggio dalla Persia a Roma, la sua teologia mutò radicalmente. Il culto che i legionari portarono con sé al loro ritorno dall’Oriente, nel I secolo a.C., era probabilmente molto diverso da quello praticato in Persia ai tempi degli Achemenidi.

Lo studioso Franz Cumont (1868-1947) cercò invano il  “mitreo originario”, l’anello che collegava il Mitra persiano a quello venerato negli accampamenti romani. In realtà, non sappiamo esattamente se furono i contatti con il Regno dei Parti, con il Ponto o con i pirati cilici a far conoscere questo dio orientale ai legionari. Sappiamo però che, da dio dei patti e dei giuramenti, com’era noto in Persia, Mitra divenne la divinità  più  venerata  dalle  truppe  stanziate  in ogni parte dell’Impero Romano. Dio solare e vittorioso, armato di daga e trionfante su un animale temibile come il Toro cosmico, non poteva che essere onorato quale nume dei combattenti.

Le prime testimonianze di tale culto si trovano in un presidio legionario a Carnunto, nella provincia romana della Pannonia Superiore (Austria). Ma Mitra era popolare ovunque, dalla Britannia (dove sono stati trovati ex voto e oggetti cultuali lungo il Vallo di Adriano) fino alle rive dell’Eufrate. A Dura-Europos, in Siria, ausiliari palmireni e legionari romani costruirono l’unico mitreo dell’Impero a non essere sotterraneo (a causa del particolare terreno su cui sorge la città). I templi dedicati a Mitra, detti “mitrei”, sono diffusi in tutto il mondo romano e hanno sempre le medesime caratteristiche: sono caverne, o le ricordano (molti venivano scavati nella  roccia,  oppure  erano  edifici adattati); il soffitto era rigorosamente dipinto o adornato in modo che ricordasse il cielo stellato, segno della forte connotazione astronomica; la raffigurazione di Mitra occupava il posto d’onore, insieme all’altare.

L’iconografia del dio è sempre la stessa e la raffigurazione più diffusa è quella della tauroctonia: Mitra, raffigurato come un giovane uomo con mantello e berretto frigio, uccide il Toro cosmico. Attorno a lui ci sono il sole e la luna e i quattro animali del mito: serpente, scorpione, cane e corvo. Ai lati, due dadofori (portatori di fiaccole), Cautes e Cautopates, reggono, rispettivamente, una fiaccola accesa e una abbassata, simboli dell’alba e del tramonto, dell’equinozio di primavera e di quello d’autunno.

La ricca iconografia e il mito da cui è tratta hanno prodotto svariate interpretazioni. La più recente è quella di David Ulansey, che rafforza l’ipotesi astronomica, sottolineando come tutti i personaggi corrispondano a costellazioni, quelle stesse che si trovavano all’equatore celeste nel momento in cui il Toro irruppe nel cielo all’equinozio di primavera: il serpente (l’Idra di Lerna), il cane (Canis Maior o Minor), la costellazione del Corvo e quella dello Scorpione. Secondo questa interpretazione, dunque, Mitra sarebbe identificabile con Perseo, costellazione che si trova esattamente sopra quella del Toro.

Nonostante la diffusione capillare, quello di Mitra era un culto misterico: solo gli iniziati potevano accedere alle cerimonie, di cui però non dovevano parlare con gli estranei (ciò ha creato un cospicuo vuoto di fonti per chi voglia ricostruirne la liturgia). I rituali portavano il neofita a diventare iniziato e lo accompagnavano poi nei sette gradi dell’iniziazione: corax (corvo), cryphius o nymphus (crisalide), miles (soldato), leo (leone), perses (persiano), heliodromus (corriere del sole), pater (padre).

I due elementi a nostra disposizione per ricostruire il culto mitraico sono il mito e le fonti archeologiche. Il banchetto rituale tra il dio Sole e Mitra, l’agape, avvenuto dopo l’uccisione del Toro, è trasposto nella liturgia, come testimonia la presenza di panche che costeggiano le pareti del mitreo. Il sacrificio del Toro potrebbe essere stato sostituito con qualcosa di più simbolico, di cui però non abbiamo traccia.

Considerando le esigue dimensioni della caverna, infatti, sembra impossibile che vi si potesse ospitare un bovino, senza contare quanto sarebbe stato costoso per gli iniziati, per la maggior parte soldati e non certo ricchi magistrati (sebbene il culto di Mitra fosse diffuso anche nelle classi abbienti, e addirittura alcuni imperatori come Nerone e Commodo ne fossero iniziati). Sembra molto plausibile che si tenesse una sorta di “battesimo rituale” eseguito con sangue di toro o di altro animale. L’ipotesi è confortata dal fatto che molti mitrei dispongono di una cella sotterranea sovrastata da una grata: è facile immaginarvi il neofita che, al buio, viene inondato da un getto di sangue che lo consacra ai misteri del dio. Da quel momento, come scrive Tertulliano (155-230 d.C.) nel De praescriptione haereticorum, l’iniziato diventa “soldato di Mitra”. In fondo, sembra appropriato che un culto guerriero  prevedesse un “battesimo del sangue”.