La Peste di Giustiniano, il vero inizio del Medioevo

Non sappiamo quando la peste sia comparsa nella storia. Se ne hanno tracce nel bacino mediterraneo molto prima della romanità. Nell’Iliade viene menzionata durante l’assedio di Troia, così come in Persia e in Mesopotamia.

Di sicuro non fu una novità quando nel VI sec. d.C. comparve in maniera devastante nella penisola italiana. Precedenti epidemie verificatesi ai tempi della Repubblica e dell’Impero Romano quasi certamente non assursero al nefasto ruolo di pandemia.

Tutto ebbe inizio in un caldo ottobre del 541 d.C., quattordicesimo anno del regno di Giustiniano (527-565), quando il porto di Pelusio, sulla foce orientale del delta del Nilo, fu scosso da una notizia terri­bile: era arrivata la peste. Le piccole imbarcazioni che freneticamente facevano la spola dalle regioni profonde del grande fiume e dalle coste limitrofe, soprattutto del Mar Rosso, questa volta insieme alle mercanzie avevano portato un triste carico di contagio e di morte.

Probabilmente il morbo giunse dall’Etiopia (come ci tramanda lo storico bizantino Evagrio Scolastico [536-594 d.C. circa] ) e si diffuse favorito dall’abbondanza di ratti in città e nell’area portuale, a loro volta contagiati da altri ratti infetti giunti con le imbarcazioni.

Da Pelusio la peste si diffuse in tutto l’Egitto, raggiun­se Siria e Palestina e nella primavera del 542 d.C. approdò a Costantinopoli, dove in quattro mesi avrebbe causato la morte di trecen­tomi­la persone, un terzo della popola­zione.

La peste di Giustiniano, così denominata perché si manifestò durante il regno dell’imperatore Giustiniano (527-565 d.C.), nel 541 d.C. colpì i territori orientali dell’Impero romano d’Oriente per poi diffondersi in tutto il bacino del Mediterraneo.  È ricordata come una delle epidemie più gravi e devastanti della storia.

Responsabile della peste di Giustiniano fu un virus, lo Yersinia pestis, che colpi poi l’Europa nel Trecento (la famosa peste nera).

Secondo lo storico Procopio di Cesarea, testimone oculare dell’epidemia, la peste decimò metà della popolazione della città, che in quegli anni contava circa un milione di abitanti. Un altro testimone, il vescovo Giovanni da Efeso, parla di circa 16 mila morti al giorno nella sola Costantinopoli.

La vita pubblica si bloccò quasi ovunque; i commerci si fermarono; la gente non usciva di casa per paura del contagio. Le campagne non poterono essere lavorate e i raccolti andarono perduti. Per molti, dopo la malattia ci fu la fame. La peste influenzò anche la guerra greco-gotica (535-553 d.C.), perché diede agli Ostrogoti la possibilità di rafforzarsi durante la crisi degli avversari.

I medici non avevano alcuna idea di come la malattia si diffondesse e tanto meno di come curarla. I rimedi si riducevano a bagni caldi, per cercare di far uscire dal corpo dei malati gli “umori” considerati “cattivi”.

Il segnale più evidente della malattia era un rigonfiamento, detto bubbone, all’inguine, sotto le ascelle oppure sulle cosce o dietro le orecchie. Alcuni provarono a inciderlo, senza ottenere alcun risultato. I malati che sopravvivevano diventavano, nella maggior parte dei casi, immuni alla malattia e solitamente non ne venivano più contagiati.  L’imperatore stesso contrasse il morbo, si ridusse in fin di vita ma sopravvisse.

Così, per gli antichi, ma anche per gli uomini del Medioevo, la peste divenne il segno inequivocabile della collera divina.