Aureliano, il "Restitutor Orbis"

Lucio Domizio Aureliano, o più comunemente Aureliano, benché non popolare come Marco Aurelio, Augusto, Caligola o Traiano, fu un grande imperatore e senza di lui dovremmo forse retrodatare l’anno della caduta di Roma. Non più il 476, ma il 275 d.C. sarebbe indicato dagli storici come il giorno della fine dell’impero più glorioso che la terra abbia mai visto.

Lucio Domizio Aureliano nacque a Sirmio, in Pannonia, l’odierna Sremska Mitrovica in Serbia nel 214. Figlio di un ex militare diventato colono, e di una sacerdotessa del culto del Sol Invictus, il dio Sole, un culto di matrice orientale, l’origine pare essere la città di Palmira, era molto popolare fra i soldati ed ebbe una grandissima importanza nella formazione del giovane Aureliano.

Entrato nell’esercito intorno ai vent’anni, la sua carriera ebbe una rapida ascesa combattendo lungo tutto il limes contro i barbari che da un secolo premevano sui confini dell’impero. Combatté contro i Franchi in Gallia, contro i Goti lungo tutto l’arco del Danubio, contro i Sarmati e contro innumerevoli altri popoli. Le sue capacità militari  lo portarono in poco tempo all’apice della catena militare e, divenuto magister equitum, (generale della cavalleria), ordì insieme ad altri congiurati l’assassinio dell’imperatore Gallieno per far diventare imperatore Claudio. Nel 268 la congiura ebbe successo e Claudio divenne imperatore. Aureliano divenuto il braccio destro del nuovo imperatore venne incaricato di combattere i Goti, attaccarli e distruggerli.

Mentre Aureliano combatteva i barbari in Tracia, Claudio si stava dirigendo verso la Rezia per fermare l’ennesima invasione di barbari nella regione. Nei pressi di Sirmio, però,  l’imperatore cadde ammalato e morì di peste. Aureliano, conclusa la pace con i Goti messi ormai alle strette, dopo essere stato proclamato imperatore dall’esercito (nel 270 d.C.), marciò senza fermarsi un attimo verso la Rezia per affrontare gli invasori. Ricacciati i barbari, Aureliano tornò a Roma per ricevere gli onori dal senato e confermare il titolo di imperatore.

L’impero a quel tempo si trovava in una profonda crisi politica, economica e militare. Non solo i barbari minacciavano l’unità dello Stato, ma anche la guerra civile serpeggiava velenosa: ad occidente Tetrico guidava l’autoproclamatosi impero delle Gallie. Britannia e Gallia si erano infatti separate dall’impero e avevano dato vita ad uno stato indipendente. Ad oriente invece la ricca città carovaniera di Palmira era diventata la capitale del nuovo impero romano dichiarato dalla regina Zenobia, autoproclamatasi Augusta, Imperatrix Romanorum e discendente di Cleopatra.

Nel giro di pochi anni Aureliano compì il miracolo.

Per prima cosa respinse una grande invasione di Marcomanni, Iutungi e Alemanni (che erano arrivati fino in Romagna). Li sconfisse e, preoccupato per la sicurezza dell’Urbe, fece iniziare la costruzione di nuove grandi mura intorno alla città di Roma, le famose mura Aureliane. Poi, pacificata l’Italia e sconfitti i barbari alla frontiera, marciò contro la regina Zenobia che aveva iniziato ad aggredire le regioni vicine ancora fedeli a Roma. La vittoria fu fulminea, il successo assoluto. Già nel 272 le grandi province orientali erano ritornate sotto il controllo di Roma, Palmira era stata distrutta e Zenobia catturata.

Aureliano ricevette l grandi onori per l’ennesimo successo militare sui nemici che minacciavano la pace dell’impero. Nel 274 la battaglia nei pressi di Chalons fra Aureliano e l’imperatore delle Gallie Tetrico pose fine anche alla secessione occidentale. Tetrico e suo figlio furono catturati e Aureliano riannetté le ultime provincie mancanti all’impero. Fu allora che l’imperatore fu omaggiato con il titolo di “Restitutor Orbis”, restauratore del mondo: l’Impero Romano era di nuovo salvo e riunito sotto la guida di un grande imperatore dalla volontà di ferro.

«Aureliano era di aspetto elegante e fine, di bellezza virile, piuttosto alto di statura, di fortissima muscolatura; eccedeva un poco nel bere vino e nel mangiare, si abbandonava raramente ai piaceri della carne, era molto severo, estremamente rigido in fatto di disciplina, sempre pronto a por mano alla spada. Difatti, essendovi nell’esercito due tribuni di nome Aureliano – il nostro ed un altro, che fu fatto prigioniero assieme a Valeriano – l’esercito gli aveva affibbiato il soprannome di «mano alla spada», così che, se per caso si voleva sapere quale dei due Aureliani aveva fatto una data cosa o condotta una certa operazione, bastava aggiungere «Aureliano mano alla spada» per capire di chi si trattasse.»

(Historia Augusta, Aureliano, 6, 1-2)

L’imperatore diede allora avvio ad una serie di nuove politiche sociali, economiche e religiose per ricompattare l’impero. Una di queste iniziative fu il tentativo di far diventare il culto del Sol Invictus come religione comune in tutto l’impero. Però tutto questo non fu possibile portarlo al termine perché, mentre nel 275 d.C. l’instancabile Aureliano si stava muovendo al comando di un grande esercito per attaccare l’impero persiano, un suo segretario, sembra per vendetta privata, lo uccise a tradimento.

Il cordoglio in tutto l’impero fu grande, e i barbari, saputo della morte del grande Aureliano, ritrovarono il coraggio per attaccare le frontiere. Moriva così uno dei più grandi imperatori di Roma, capace di riunificare e ricompattare in poco tempo un impero ormai alle soglie del baratro.