Il pilum, un'arma micidiale

Armati di scutum e pilum, i legionari potevano gettare nello scompiglio qualunque schieramento nemico. Soprattutto questo tipo il giavellotto, arma da lancio dagli effetti mortali, era in grado di fare la differenza sul campo di battaglia.

Assieme al gladio, il pilum era l’arma più tipica (e terribile) dei legionari. Di origine sannitica o sabellica (lo scrive Virgilio nell’Eneide), era un giavellotto usato nei combattimenti a breve distanza, di peso variabile, che probabilmente veniva scagliato quando l’avversario si trovava a non più di 10 metri di distanza. Come si desume dalle testimonianze archeologiche, ne esistevano di diverse lunghezze, da 1,5 a quasi 2 m. La caratteristica che li accomunava tutti era la punta di ferro dolce, fatta per penetrare gli scudi dei nemici e raggiungere il corpo dell’avversario.

Come scrive Polibio nelle sue Storie, ai tempi delle Guerre puniche esistevano pila con la punta tonda o quadrata, e ogni legionario ne aveva di due tipi, «uno grosso, l’altro sottile. I più grossi possono essere rotondi o quadrati. Quelli sottili assomigliano a lance da caccia di misura media». A caratterizzarli era il collegamento particolarmente robusto fra la parte metallica e quella lignea, assicurata anche con chiodi ribattuti. La particolarità del pilum (che non va confuso con la lancia lunga, chiamata hasta) era quella di avere il puntale realizzato con metalli di resistenza variabile: la punta vera e propria, che doveva avere forza penetrativa, era estremamente robusta, mentre il gambo era in ferro più dolce. Questo faceva in modo che il puntale stesso si piegasse dopo essere penetrato nello scudo del nemico, rendendolo sbilanciato e inutilizzabile. Lo scudo colpito dal pilum, quindi, veniva quasi sempre abbandonato, privando l’avversario di una delle difese più importanti. La cosa è testimoniata anche da Cesare in un passo del De bello Gallico, che descrive una battaglia contro i Galli: «Questi erano molto impacciati nel combattimento, perché parecchi dei loro scudi erano stati trafitti dal lancio dei giavellotti e, essendosi i ferri piegati, non riuscivano a svellerli; così, non potevano combattere in modo agevole, avendo la mano sinistra impedita. Molti, perciò, dopo aver a lungo agitato il braccio, preferivano buttare via lo scudo e combattere a corpo scoperto».

In genere, il lancio dei pila precedeva il combattimento corpo a corpo e creava notevole scompiglio fra le file nemiche, sia per i motivi spiegati sopra, sia per le vittime che provocava. Mentre l’avversario era disorientato, i legionari si lanciavano contro di esso, avendone spesso la meglio, come dimostra anche un passo di Plutarco: «I Romani lanciarono i giavellotti contro i Galli; i loro scudi furono perforati e appesantiti dai giavellotti. Allora abbandonarono le proprie armi e cercarono di strapparle al nemico, tentando di deviare i giavellotti afferrandoli con le mani». Il fatto che la punta del pilum si piegasse aveva anche il vantaggio di renderlo inservibile al nemico, che non poteva rilanciarlo contro lo schieramento romano. Quest’arma risultò spesso vincente, soprattutto in epoca repubblicana, quando i Romani si trovarono ad affrontare avversari come i Galli, i cui fanti combattevano con protezioni del corpo molto leggere o del tutto inesistenti. Venivano prodotti anche pila con la punta appesantita da una sfera di piombo, che rendeva il colpo ancora più micidiale, e non è escluso che l’arma venisse utilizzata anche nei combattimenti ravvicinati. In epoca imperiale, con la diffusione di armature personali decisamente più robuste e con il variare delle tecniche belliche, il pilum cadde in disuso.

Qui sotto, grazie ad una ricostruzione a cura dello Smithsonian Museum, si può ammirare l'effetto di tale arma: