Il cane da guerra. L'unità speciale dell'esercito Romano

Le origini del cane da guerra sono antichissime. Nei tempi antichi, i cani venivano equipaggiati con armature o collari a spillo e inviati in battaglia per attaccare il nemico. Questa strategia fu usata da varie civiltà, come egiziani, greci, persiani, sarmati, alani, slavi, britannici e romani.

Uno dei primi usi militari era che i cani fossero messi in servizio di sentinella. Proprio come oggi, i cani sarebbero utilizzati per difendere campi o altre aree prioritarie giorno e notte. I cani abbaiavano o ringhiavano per allertare le guardie della presenza di uno sconosciuto. Naturalmente servirono molto per avvisare l’arrivo dei nemici negli accampamenti notturni.

I romani copiavano tutto da tutti, cercando sempre di migliorare le prestazioni di cose, uomini e animali. Impararono così ad usare i cani da guerra, ma non solo, perchè li incrociarono per migliorarli e soprattutto li addestrarono in modo particolare.

Del resto la predominanza dei romani nei combattimenti  era dovuto sostanzialmente al loro straordinario addestramento, così anche con i cani usarono lo stesso accorgimento. Per giunta i cani erano lieti di collaborare, essendo animali da branco ansiosi di muoversi e di essere guidati. Alcuni scrivono che i romani usassero poco i cani da guerra, ma non è così, i romani usavano di tutto quando occorreva, con una strategia finissima e sempre in rinnovamento.

Occorre ricordare che l’addestramento non era così semplice, perchè il cane doveva vivere con tutta la coorte, abituandosi a distinguere amici da nemici, attraverso l’odore e pure attraverso vesti ed armature. Ciò che li guidava era innanzi tutto l’olfatto, quindi era importante che nei castri girasse e urinasse lungo la palizzata sentendola come confine proprio, ma che accettasse pure cibo da tutti i legionari della guarnigione, per cui non solo occorreva l’allenamento capuano ma pure quello nel castro e durante la marcia.

Doveva poi imparare gli ordini verbali, per cui se si presentava un estraneo all’accampamento a un preciso ordine non doveva saltargli addosso come faceva con tutti gli altri. Era fondamentale che rispettassero l’ordine di attacco in battaglia ma pure i vari richiami e l’ordine di fermarsi o di tornare indietro quando occorreva. Al contrario dei cani da guerra barbari che assalivano qualunque intervento straniero, i cani romani obbedivano agli ordini come fossero soldati.

Il Molosso Romano o Canis Pugnax è il progenitore dell’odierno mastino napoletano. Tuttavia, il Canis Pugnax era meno pesante e grande di quest’ultimo e rassomigliava maggiormente all’attuale cane corso. Infatti Cane Corso deriva, come il Mastino Napoletano ed in parte il Mastino Abruzzese, proprio Canis Pugnax, il Molosso che dagli antichi romani venne utilizzato massicciamente per la guerra.

Questa razza, diffusa in tutta Europa e in parte in Asia ed Africa, nei territori facenti parti dell’Impero Romano, venne incrociato e in parte si incrociò da solo, con tante razze, in questo modo diede vita alla maggior parte delle razze canine che conosciamo. I romani portarono tutto da per tutto, la loro mobilità e le loro conquiste dettero luogo a un fenomeno incredibile di globalizzazione delle piante, degli animali e delle razze umane.

Il Canis Pugnax era potente, combattivo, coraggioso ma anche agile, veloce e in grado di percorrere giornalmente distanze notevoli, sia in pianura che in montagna e di sopportare climi di tutti i tipi.

La legione romana detiene tutt’oggi il record di spostamento a piedi di 35 km al giorno, con un pesante carico sulla schiena, dalle sei del mattino alle tre del pomeriggio, durante il quale i soldati avevano pure il tempo di spianare un ampio terreno e costruire dal nulla un castrum (accampamento fortificato) per passarvi la notte, e nel frattempo i cani, oltre alle sentinelle, badavano a che nessuno si avvicinasse al campo.

La costruzione del campo era il momento più pericoloso per i legionari e, se fossero stati spiati, sicuramente quello era il momento opportuno per attaccarli, così come era pericoloso lo smontaggio del castrum, dove occorreva smontare le tende, le are e lo steccato, imballare tutto, caricare i carri, nutrire le bestie e le persone perchè era impossibile farlo strada facendo, se non mangiando qualche galletta o focaccia mentre si marciava.

Era anche pratica comune per i romani legare secchi di olio fiammeggiante sulle spalle dei loro cani da guerra e mandarli nelle prime linee del nemico per distruggere la cavalleria nemica. Questi cani erano chiamati piriferi o portatori di fuoco.

Il Molosso Romano, pertanto, era un cane funzionalmente completo e nelle terre conquistate dalle Legioni Romane di cui era al seguito, dette origine a cani che poi vennero utilizzati per funzioni similari: ad esempio, in Spagna originò il Perro da presa spagnolo e in Francia il Dogue de Bordeaux.

Questi cani venivano usati nelle battaglie affiancando l’esercito in guerra. Il loro nome deriva dalla tribù illirica dei “Molossi” e vennero usati nelle battaglie per:

- terrorizzare i nemici;

- attaccare i cavalli facendoli imbizzarrire;

- attaccare gli uomini e morderli;

- introdursi tra le file nemiche con recipienti in cui era stato appiccato fuoco, per provocare un incendio;

- introdursi tra le file nemiche con corazze munite di lame taglienti per ferire soldati e cavalli.

Il Molosso da guerra fu un efficace strumento di morte; molto aggressivo, bardato con un collare irto di punte di ferro, addestrato ad attaccare il nemico e ad ucciderlo azzannandolo alla gola. 

Per ottenere una simile “macchina bellica”, i Romani utilizzarono il materiale genetico del luogo, quello del “lupo nella sua forma addomesticata” il cui modo di fare si avvicinava alla loro indole: come loro combatteva per la conquista del territorio, come loro razziava e uccideva.

La storia evidenzia la parentela simbolica tra i lupi ed alcuni popoli guerrieri: ad esempio, nella penisola italica la tribù dei Lucani traeva il proprio nome da “Aukol”, ovvero dal lupo.

A questa popolazione canina di estrazione lupoide, man mano si affiancavano nella selezione cani diversi, con taglia e combattività sempre maggiore, a pelo raso per offrire meno presa e con caratteristiche “molossoidi”.

Questi animali si estesero in tutto l’Impero attraverso i primi centri di allevamento, in particolare a Capua, vera e propria “fabbrica” di mezzi, animali e uomini “da guerra e arena” a seguito di attività commerciali econquiste da territori stranieri.

Il coraggio, la forza e la conbattività di questi cani dava loro l'appellativo di “Bellator” o “Pugnator” o “Pugnaces”, come Strabone definisce i cani che combattevano al fianco dei soldati, che ne vegliavano il sonno costituendo un'ottima guardia anche notturna, per udito e per olfatto superiori agli uomini, si che, debitamente addestrati, erano impiegati anche nelle comunicazioni, recando messaggi contenuti nei loro copricollo in metallo e cuoio, abilissimi nella corsa e nel nascondersi dal nemico.

I Legionari Romani li consideravano sempre più indispensabili in battaglia, così prosperarono i “domini factionum”, allevatori e impresari, che li selezionavano e preparavano per affiancarli alle fiere e ai gladiatori nelle esibizioni pubbliche sempre più richieste (i “Ludi Gladiatori”) e per le quali ricevevano lauti compensi, a volte astronomici.

Questi cani avevano soprattutto attinenza con il “Molosso” dell’Epiro, notoriamente combattente senza rivali, e gli antichi documenti ne fecero risalire l’inizio dell’impiego come cani in battaglia a più di tremila anni fa.

Inquadrati in piccoli gruppi di combattimento, nelle azioni belliche i cani venivano impiegati in gran numero; erano anche utilizzati come coraggiosi scudieri e guardia spalle per sostenere l’azione di un singolo cavaliere. Essi, pertanto, sono stati da sempre e inevitabilmente coinvolti nelle guerre; del resto gli antichi Molossi furono creati quasi esclusivamente per questo scopo.

Plinio il Vecchio riporta che i cani “erano gli ausiliari più fedeli e più economici”.

I Romani impiegarono diffusamente i cani da guardia negli edifici pubblici e nelle case private (specie in quelle patrizie). Erano tenuti per tutto il giorno legati alla catena entro una nicchia all’ingresso dell’edificio e di notte venivano liberati. Spesso la loro aggressività provocò incidenti tali da richiedere l’istituzione di apposite leggi. Da ciò prese origine la consuetudine di sostituire in molti casi la presenza del cane con un suo simulacro recante la famosissima iscrizione “Cave canem”.